Tratto dal catalogo “LA PIETRA DI APICENA NELL’ARTE”

(luglio 92)

 

Ma un muro, ripreso a sé stante, sarebbe cosa improponibile o vacuamente categoriale - a pari di una reliquia senza memoria - se non aprisse la propria cortina a' Le quattro porte suggerite da Mirko Asnaghi: un proscenio teatrato e non teatrale che rinnega certi attraversamenti a rischio a favore, invece, di una percorribilità evocativa e sapienziale che inverte la bussola o le indicazioni della "rosa dei venti", mischiando le carte dei quattro punti cardinali per volgere la prua, sotto chiarori diurni e selenici, verso le "Colonne d'Ercole" della verifica: un Ercole, però, che ci invita senza clava al suo bivio, al magisdella conoscenza in quanto traguardo eternabile. Ed ogni traguardo sottende a un muro di arrivo; ma è un muro che si disserra all'oracolo come l'antro di una sibilla, giacché un muro senza porte genererebbe un ermetismo di stampo suicida; giacché Yopusincerto dei suoi conci sarebbe votato (pure se lo si risarcisse sacralmente con la Kaabadi Abramo o miticamente col lapis nigercapitolino della tomba di Romolo) a praticare l'incomunicabilità con il presente, deludendo perfino il saggio "testimone" della ritenzione del Passato e, quindi, della protensione del Futuro.

In definitiva, quel pronao quadripartito rimanda a una visionesconvolgente e rivelatoria, forse all'enigma profetizzato da Zarathustra;“l’enigma che il Maestro consegna ai marinai temerari della ricerca edel tentativo che sono sulla barca su cui anch'egli è salito e che il destino conduce con vele Ingegnose per mari Inesplorati; la visionedellaporta carraia the si chiama attimo dove convengono i due sentieri che sbattono la lesta l'un contro l'altro e si protendono nell'eternità in entrambi i sensi"2".

Gli ingredienti plastico-coloristici adottati da Asnaghi nelle sue "porle" sono elementari e primari sia nel pitagorismo delle forme (triangolo, quadrato, cerchio), sia nelle inserzioni cromatiche che paiono beneficiare soprattutto i timpani nella loro classicistica spinta all'insù. I pilastri, come nelle costruzioni in legno laccato che accompagnavano i giochi della nostra infanzia, sconfiggono l'aulicità del colonnato, mentre l'ornamentazione si modifica in traslitterazione secondo una "segnaletica' stampigliata a caratteri cubitali sul nitore delle riquadrante lapidee. E un tentativo, coscientemente "paradossale", di riagganciarsi - attraverso gli impulsi del concetto - alle regulaeprimigenie di un razionalismo grecizzante, "senza equivoco o menzogna", e non all'inarmonico dell'eclettismo romano di Età Imperiale; quello, per intenderci, di cui parla Cicerone allorché legittima l'ornamento e, quindi, la sua massima ricchezza di effetti, solo se nascerà - in qualche modo - dall'utilitas: "Le colonne reggono i templi e i portici: ebbene la loro maestà non è inferiore alla loro utilità" (Cicerone, De Oratore, III, 180).

L'utilità, invece, ambita da Asnaghi mediante il diaframma del suo paravento simbolico visto che al contrario dell'allegoria il simbolo lo si interpreta e reinterpreta anche inconsciamente, risiede tutta quanta in un proclama didattico ("Il mondo è statua, immagine", esortava Tommaso Campanella); un proclama che ramifica, dai tempi del suo apprendistato presso Alik Cavaliere, nel "pregiudizio della modernità" (basti rivedere le sue lunghe Attese in gesso policromo, esposte lo scorso anno ai Musei Civici del Comune di Monza); un proclama che sottolinea "la riconversione alla forma, come luogo plastico e di oggettiva valenza fra lo scorrere della natura e quello della propria coscienza [...] per sfidare il tempo", cercando "con meticolosità il momento in cui il processo genetico si compie e la forma compare come necessità fenomenica, in sé conclusa [...] proiettata verso destini diversi, certamente ansiosa d'assoluto"21.

Si, l'ansia dell'assoluto: un assoluto che tende alla quadratura del cerchio che, pur focalizzando la subiettività dell'autore nella grande "porta nera" che divide a metà la composizione in virtù delle altre col loro rapportarsi ternario alla precedente, esorcizza la paura - letteraria e "nordica" - del vuoto,dell' oblìo e della morte per poi tuffarsi nelle acque rigeneratrici della "mitopoietica mediterranea".

Gaetano Mongelli